Rampolla di un Rothschild, il suo nome era quello di una falena; niente di più azzeccato per la futura animatrice delle notti newyorkesi- Pannonica era un’eccentrica che amava le auto veloci e viaggiava con un aereo personale- Con la Seconda guerra mondiale lascia Parigi e gira per il mondo, dall’Africa a Mexico City. Finché un giorno, di passaggio a New York, ascolta un pianista jazz che esegue ‘Round Midnight di Thelonious Monk’s. E questo cambia la sua vita. –
Il disco, Round Midnight, suonò soltanto per tre minuti. Ma lei rimase di stucco, incapace di pensare ad altro. Nessuna musica le aveva mai fatto quell’effetto, come di paralisi e di tranche. Pregò il suo amico, il pianista jazz Teddy Wilson che era passata a salutare sulla strada dell’aeroporto, di suonarlo di nuovo. Se lo fece ripetere venti volte. Dimenticò l’aereo, dimenticò la famiglia. Non partì più. Non tornò mai più a casa. Decise che doveva restare a New York e cercare d’incontrare l’autore, un giovane jazzista di nome Thelonious Monk.
Era il 1948. La baronessa Pannonica de Koenigswater, detta Nica, aveva all’epoca 35 anni. Nata Rothschild, Nica era cresciuta nel mondo privilegiato e recluso della grande dinastia bancaria. Dal suo matrimonio del 1934 con il barone Jules de Koenigswater, un affascinante diplomatico francese, erano già nati cinque figli.
A sollecitare la sua corda pazza una prima volta era stata la Seconda guerra mondiale, quando Nica aveva servito come ausiliaria in Africa nelle milizie di France Libre comandate da Charles de Gaulle. Le era stato già difficile accettare il ritorno alla routine domestica. Ora, erano bastate quelle note a farle apparire la sua vita privata banale e priva di senso.
Ma non fu semplice rintracciare l’erratico jazzista. Le furono necessari sette anni. Nica dovette tornare a Parigi, al concerto che Thelonious Monk diede nel 1954 al Salon du Jazz. L’incontro avvenne nel backstage, grazie a un’amica comune, la pianista Mary Lou Williams. Ma quando lo vide, seppe che aveva fatto bene. Era, avrebbe detto molti anni dopo, «l’uomo più bello che avesse mai visto». Da quel momento non ci fu più ritorno, né pentimento. Soltanto amore. Per i successivi 28 anni Nica Rothschild dedicò la sua vita e il suo patrimonio a Thelonious Monk.
È la pronipote Hannah Rothschild a raccontarci la straordinaria passione di Nica per uno dei più grandi geni del jazz, in un libro appena uscito per i tipi di Knopf, che le è costato anni di ricerche e di ostilità. Nessuno in famiglia voleva infatti parlarle di Nica, che i Rothschild avevano diseredato per la sua scelta scandalosa. In The Baroness: the search for Nica, the rebellious Rothschild, Hannah ricostruisce il mistero di una donna, la cui esistenza fu la dimostrazione di come sia possibile fuggire il proprio passato in nome di un sogno d’amore.
Al tempo in cui incontrò la baronessa, Thelonious Monk era già sposato con Nellie, dalla quale non si separò mai e della quale la baronessa diventò amica. La storia di Monk e Nica, secondo Hannah Rothschild, non fu mai fisica: «Non credo sia mai stato un affare di sesso bollente. C’è sempre questa tendenza a sessualizzare ogni rapporto, soprattutto quelli che incrociano classe e razza. Se guardate Nica insieme a lui in fotografia o nei filmati, è chiaro che ne fosse innamorata, sembra sempre in adorazione. Lo dice il modo in cui lei gli dedicò la sua vita, la sua devozione anche nei momenti peggiori. Non penso che il sesso fosse al centro della cosa, non sarebbe durata tanto».
Nica fu l’angelo di Thelonious. Era lei a fargli da agente, a guidarlo ai concerti con la sua leggendaria Bentley azzurra, a proteggerlo, a far sì che la sua creatività musicale non fosse intralciata da problemi prosaici e terreni, a finanziarlo nei periodi di magra. Ornata di piume, collo di pelliccia e fili di perle, l’eterna sigaretta fumante dentro il bocchino d’argento tra le dita, Nica divenne la presenza fissa di ogni concerto di Monk.
I grandi del jazz l’accolsero come una di loro. La sua suite allo Stanhope, l’albergo dove visse per anni, diventò un cenacolo musicale. Non solo Thelonious, ma anche Charlie Parker, Art Blakey, Sonny Clark, Tommy Flanagan e Kenny Drew le dedicarono delle canzoni.
Andò perfino in carcere per Thelonious. Successe nel 1958, quando la polizia fermò la Bentley con loro due a bordo, mentre si recavano a un’esibizione fuori New York. Li perquisirono e trovarono una piccola quantità di marijuana, che Monk fumava regolarmente. Lei non ebbe dubbi.
Brano tratto dall’articolo di Daniela Amenta per il Giornale dello spettacolo ttps://giornaledellospettacolo.globalist.it/musica/2017/10/09/monk-i-cento-anni-del-colosso-jazz-che-ci-fa-ballare-ancora-2012844.html
“Nica, la baronessa. Anche Monk, come Charlie Parker, entra nelle grazie della baronessa Pannonica de Koenigswarter, Nica per gli amici, appassionata di jazz e di gatti. Sarà un’amicizia epica e totale la loro. Definitiva. E poi Teo Macero, capo della Columbia e compositore, un bianco furbo e intelligente, il contraltare di Miles Davis dietro le quinte, che decide di produrlo. E’ l’apice della carriera di Monk. Sono gli anni ’60 e il mondo è cambiato. Così cambiato da poter accogliere Monk’s Dream il suo album più venduto, così cambiato da meritarsi Monk sulla copertina di Time. Ci sono tour, ora, e fotografi, e gente che fa la fila per vedere l’ultimo copricapo di Thelonious.
Monk’s dream. Chissà qual è il sogno di Thelonious negli anni 70, chissà se è un incubo o una febbre covata, tenuta a bada, e che esplode. Perché a un certo punto l’intero microcosmo di Monk, quello che l’artista ha costruito accordo dopo accordo, serata dopo serata, session interminabili e lavoro durissimo, si sgretola. All’improvviso. Il pianoforte smette di esistere. Melodious esce ed entra dalle cliniche psichiatriche. Bipolarismo è la diagnosi. Lui si mette a nanna, sotto sale, si iberna, sceglie il letargo. Via il cappello. Le dita rattrappite, la voce serrata in gola. Il distacco tra Monk e il mondo, all’inizio una fessura, diventa una voragine. Si rifugia per un decennio nella casa di Nica, a Weehawken, New Jersey. Nella stanza ha uno Steinway a coda che non tocca, il contrario di quanto era accaduto a Bud Powell che, pazzo e disperato, aveva continuato a disegnare sui muri del manicomio i tasti in bianco e nero.
La musica è finita. Monk, il gran sacerdote del bebop, è una balena arenata tra le pieghe di un mare misterioso, senza onde. Un mare calmo, fetido e mortale.
Un giorno disse: “Il rumore più forte del mondo è il silenzio”. Si sbagliava. Il rumore più forte del mondo è la risata di una donna, è il battito del cuore di un bambino su un’altalena, è il respiro di un gigante del jazz che prende la rincorsa, ride, tocca Dio, balla, ed è ancora qui. A farci girare la testa. “
Disse che era sua, pur sapendo di rischiare dieci anni di carcere e la deportazione dagli Stati Uniti. Venne condannata a tre anni, fece diversi mesi in galera, ma dopo una lunga battaglia legale successe il miracolo: un giudice respinse il caso per un errore tecnico della polizia, che aveva perquisito l’auto senza il permesso di Nica.
Monk soffrì di depressione e schizofrenia negli ultimi anni. Lasciò il jazz, ma Nica non lasciò lui. Gli aprì la sua casa del New Jersey e lì lo accudì fino alla morte, nel 1982. Al suo funerale, Nellie e Nica sedettero in chiesa l’una accanto all’altra e tutti fecero le condoglianze a entrambe: le vedove. Pannonica Rothschild de Koenigswater morì nel 1988. Aveva 74 anni.
Paolo Valentino per “Il Corriere della Sera”