COSI’ LA PENSA GEPPETTO-COSA E’ SUCCESSO VERAMENTE INTORNO ALLA CONSIP, CENTRALE DEGLI APPALTI PUBBLICI? IL JAMES DEAN PARTENOPEO E JOE PESCI IN TRASFERTA A ROMA FINALMENTE UNITI IN UNA NUOVA SOAP OPERA, SCENEGGIATA COSI’ COSI’, MA DI SICURO EFFETTO NELLE PIAZZE E NELLE REDAZIONI
Da giorni le prime pagine dei giornali sono occupate da un nuovo quartetto d’arte: il noto Alfredo Romeo, faccendiere di lungo corso e imprenditore partenopeo che veste sciccoso; il padre di Matteo Renzi, Tiziano, debuttante, finora sconosciuto; il direttore della Consip, tale Luigi Marroni, nella parte del funzionario incorrotto. Ah, per quanto riguarda il quarto, è un caratterista da avanspettacolo, molto amico di Claudio Scaiola, che si può trovare di solito nei bar intorno alla Camera, in cui è deputato di ALA.
La storia appartiene ad un filone tipicamente italiano, tipo i film neorealisti o gli spaghetti western, che tanto piacciano a Quentin Tarantino.
Sceneggiata in quel di Napoli in salsa partenopea, inizia con l’arresto di Romeo da parte del procuratore DNA John Woodcock, fascinoso come James Dean, già in passato autore di clamorose inchieste giudiziarie, che si sono poi sgonfiate e perse per strada.
Ma la storia, per appassionare veramente, non poteva restare confinata sotto il Vesuvio. Ecco allora spuntare il deputato di ALA, che, rimasto orfano di Scaiola, subito si è stretto a Verdini, sodale recentemente condannato in primo grado a 9 anni per il crac del Credito cooperativo fiorentino. Un bella combriccola, a quanto pare. Ma, per arricchire trama e personaggi, ecco allora che nell’inchiesta finiscono un tale Russo, amico di Renzi senior, imprenditore fiorentino; un generale dei carabinieri, anzi due, perché un’Arma in Italia ci vuole; per puntare poi, come i fuochi di artificio a Posillipo, in alto, alto: un ministro, lo scarmigliato Luca Lotti, del Giglio magico pure lui. Ci sarebbe anche una caudale: l’ex deputato di A.N., giornalista disoccupato per mancanza di testata, Italo Bocchino, definito ora come braccio destro di Romeo, dopo esserlo stato di Fini (un altro sotto inchiesta), ma la sua è una parte di contorno che in sede di montaggio potrebbe anche essere tagliata.
Aperto così il grandangolo, illuminata la scena con le solite indiscrezioni e veline, la storia viene così ricostruita: per un appalto di quelli grossi bandito dalla Consip spa che risponde al ministro dell’economia come ente strumentale in funzione di centrale di acquisti, si muovono una cordata italiana e un francese. Romeo e Renzi padre, assistiti da Carlo Russo, che nel cast fa la parte del tenente cattivo, intervengono sull’a.d. Marroni perché favorisca l’assegnazione a Romeo. Lo stesso farebbe l’attempato caratterista amico di Scaiola-Verdini.
Ma è dopo un furtivo incontro in una scalcinata trattoria romana che arriva la scena madre.
Interno giorno, ufficio dell’a.d. Marroni che ha di fronte il Russo, quello cattivo. Unico piano sequenza. Russo è chino sulla scrivania, lo sguardo minaccioso, scivola sulle consonanti più del solito, ma è esplicito: lassù lo vogliono. Pensi alla ‘arriera. Lì è stato messo, da lì si toglie. Marroni è basito, armeggia col telefonino, si mostra a disagio, si sistema i capelli ribelli, incerto.
La scena si chiude su un primo piano di Russo che, dopo un sorriso disturbato alla Joe Pesci, sussurra: tu sei troppo intelligente. Non puoi non essere d’accordo. Conviene a te, conviene a noi… dunque? Che te lo dico a fare…
Fin qui la storia, un po’ romanzata, come succede sui quotidiani. Ma nei prossimi giorni ci saranno sicuri sviluppi perché è da uno scandalo all’altro che si fa la storia in Italia dopo Tangentopoli.
Non conosco le carte e fin qui l’ho messa giù per riderci sopra (è una cosa grave, ma non seria, direbbe Flaiano); ma da appassionato del genere, voglio fare presente agli sceneggiatori alcune vistose lacune, che rendono la storia poco convincente.
Per fare ciò devo accendere i fari sull’a.d. di Consip spa Luigi Marroni. Chissà perché quello che parla, poi viene di solito trascutato. Un soggetto singolare il Marroni (è stato assessore alla sanità in Toscana, quindi non un pivello) Mettiamoci nei suoi panni: è un funzionario pubblico, in una delicatissima posizione, dovendo manovrare miliardi di euro. Pressioni, segnalazioni, desiderata sono epifenomeni della funzione, a meno che non si voglia cadere dal pero, con chiara ammissione di inadeguatezza. Certo che, richieste di incontri provenienti da sconosciuti (Russo) o da imprenditore (Romeo) interessato nell’appalto che tu stesso hai bandito, un dirigente con le palle li evita come la peste. Ma questo non costituisce reato, mette solo a repentaglio la terziarietà che l’ente deve garantire. Cosa non da poco, ma transeat..
Per giustificare il suo comportamento, questo signore ha spifferato agli inquirenti che, di fronte alle pressioni, si sarebbe detto furbescamente: questi li sistemo io, ascolto con gentilezza, dico e non dico, vedrò, sentirò… e poi alla fine li lascio con un pugno di mosche in mano. Rispetto delle procedure: garantito; interesse pubblico soppesato e salvaguardato; è un comportamento che ci può stare a quel livello di responsabilità.
Tale strategia è però inaccettabile e non funziona quando (è sempre Marroni a riferirlo) si passa dalle pressioni ai ricatti. In tal caso non c’è che una strada: la denuncia, prestandosi magari anche a fare da esca per gli inquirenti, se ciò può essere necessario per fare pulizia e mettere in gabbia i corrotti. In più, tacere su minacce o ricatti è una condotta che costituisce reato penale (art. 361 omessa denuncia di reato da parte di pubblico ufficiale).
Appurato che la posizione del Marrone nella storia è un poco equivoca, ci sono altri punti che allo stato non convincono. Perché il Romeo avrebbe data una mazzetta ad un funzionario, si dice 100 mila euro, dal momento che era arrivato in cima e poteva direttamente “chiudere l’affare” al vertice?
C’è poi da considerare che gli appalti Consip sono controllati dalla Corte dei Conti, dall’Autorità anti corruzione di Cantone, assegnati da una commissione, secondo un preciso capitolato che non può essere eluso senza incorrere in rilievi. Ergo: lo spazio dell’a.d. per favorire caio o sempronio sarebbe stato in ogni caso assai ridotto se non nullo. A meno che i presunti corruttori non disponessero (ma in questo caso risulta il contrario) della sicura complicità del presunto corrotto, disposto se necessario, anche a falsare o sottrarre le carte.
Tiziano Renzi è invece accusato di traffico di influenze illecite, un reato introdotto nel 2012 dal governo Monti, e così definito:”è colpevole di traffico di influenze illecite colui (spesso definito “faccendiere”, ndr) che sfruttando la relazione con un pubblico ufficiale si fa dare o promettere indebitamente denaro da un privato per spingere il funzionario amministrativo a compiere un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio, in favore del privato stesso”. Molti sono i giuristi che criticano la genericità della norma, che lascerebbe troppa libertà di interpretazione ai giudici. Sono 20 anni che in Italia si aspetta una legge che disciplini le lobby d’affari, e sono 20 anni che le proposte in tal senso vengono insabbiate.
Come si vede c’è parecchio che non quadra o da provare nell’inchiesta, e questa marea montante, alimentata dal sistema media-giudiziario, non aiuta affatto a fare chiarezza.