FIGLIO DI CONTADINI ANALFABETI, DEPORTATO IN GERMANIA, MA GIA’ POETA E SCRITTORE- SCENEGGIATORE PREDILETTO DAI GRANDI REGISTI, PREMIO OSCAR E PALMA D’ORO- UN MUSEO A SANTARCANGELO DI ROMAGNA, ANTICA CITTA’ DEI MALATESTA, RACCOGLIE LIBRI, SCULTURE, QUADRI E ARAZZI, PREZIOSO LASCITO DI TONINO GUERRA ARTISTA GENIALE E VERSATILE-
Nella scrittura ha un ruolo centrale il mattocchio (che piaceva molto a Contini, Pasolini e Siciliano): lo strampalato di paese, il creativo emarginato, l’omino non cresciuto che ha un’“anima bianca”, ma che percepisce il mondo a suo modo, trovando una logica, una coerenza. È questo il motivo per cui la lingua più aderente all’individuo che abita le sperdute campagne è il dialetto, ma come afferma Cesari, che vede in Guerra un antico mugnaio, “tutto è mescolato e si confonde la notte con il giorno, l’italiano e il romagnolo, si amalgama al senso di contemporaneità di ogni tempo”. Guerra ha dimostrato, come nel cinema e nella poesia, che non solo il personaggio lunare è la leva dell’estrosità, ma anche il luogo: marginale come l’uomo stesso, provinciale, paesaggistico, rurale, contadino. Da menzionare la raccolta poetica, probabilmente la migliore, Il miele (1981), come i lacerti di prosa e poesia Il polverone (1978); La capanna (1985) e Il libro delle chiese abbandonate (1988), in cui si muove un Ulisse rivisitato della Valle Marecchia, che trova e perde continuamente una terra promessa, un posto indimenticabile, che si appresta a compiere un viaggio atemporale. Da Il polverone: “Delle volte il mio paese / è chiuso dentro la nebbia / con tutti gli uccelli fermi sui rami / che guardano l’aria sporca / come la guardi tu / da dentro la tua macchina”.Guerra è un raccontatore, un intelaiatore di storie, a volte surreale, situazionista, altre volte epico e mitico. Interessante, in questo nuovo e davvero completo lavoro, l’antologia critica, ricchissima e con note, interventi organici di grandi nomi che hanno consacrato questa versatilità. Gianni Rodari notò la fantasia e l’amore trasformati in poesia; Pier Paolo Pasolini l’atteggiamento psicologico costante come forma di ricerca disanimata; Elio Vittorini la realtà che scaturisce dalla rivelazione affettuosa di impressioni fuggevoli; Gianfranco Contini un veicolo espressivo con una “verginità culturale”; Italo Calvino l’acutezza d’uno sguardo caricaturale; Andrei Tarkovskij la gioia integrale della creazione e dell’essere. E ancora Maria Corti che si soffermò sulle cose della natura, soprattutto gli animali, come ultimo baluardo della felicità; Angelo Guglielmi che annotò di una memoria antropologica resistente agli assalti dell’attualità; Elsa Morante con il miracolo di gratitudine di questa poesia offerta al mondo presente; Gianni Celati e le parole ritrovate sotto gli strali di frasi fatte del parlare adulto; Roberto Roversi con la meditazione e il canto sussurrato in un’implacabile fermezza; Pier Vincenzo Mengaldo che captò specie il poeta oggettuale. Di Tonino Guerra rimangono anche delle splendide installazioni a Pennabilli e dintorni, un regno di fantasia, un museo di sapori tra giardini, strade, angoli. Mi piace menzionare il “Santuario dei Pensieri”, che ho visto poco tempo fa, cinto dai muri di un’antichissima casa, con gigantesche sculture in pietra sagomate, con forme astratte affiancate un’altra. Quelle pietre sembrano ispirare una confessione, un’immaginazione, perfino un contatto con l’aldilà. Sono una connessione con ciò che sentiamo intimamente e le si guarda rigorosamente il silenzio. Un aforisma di Tonino Guerra calza a pennello: “Noi siamo già stati in Paradiso e spesso ci torniamo quando entriamo dove vive la memoria”.
Articolo di Alessandro Moscè per Pangea
In copertina un’opera di Tonino Guerra
La belèzza
La belèzza
Quand che t’à mé pórt la próima vólta
a guardè e’ Bolschoj
e’ parévva che tótt i pèlch
i fóss una muntagna d’ór
ch’ l a m caschévva madòs.
E mè a stévva sla schéina pighéda;
mo tè t’à mé détt:
“Sta drètt che la belèzza l’a n pàisa”.
Quando mi hai portato per la prima volta
a vedere il Bolschoj
sembrava che tutti i palchi
fossero una montagna d’oro
che mi cadeva addosso.
E io stavo con la schiena piegata;
ma tu mi hai detto:
“Stai dritto che la bellezza non pesa”.
Si fa notte presto
Adesso sto sempre in casa
e sposto carte o guardo
oltre i vetri della finestra
le mandorle secche attaccate ai rami
che arrivano fino quassù
e sembrano pendagli alle orecchie
di gente che non c’è più.
O sto seduto su una sedia
vicino al camino
e si fa notte presto
con la luce che cade dietro le montagne
e io vado a letto con la voglia di sognare
i giorni che nevicava a Mosca,
e io ero innamorato.
I sacriféizi
Amarcord
Lo so, lo so, lo so
che un uomo, a 50 anni,
ha sempre le mani pulite
e io me le lavo due o tre volte al giorno
ma è quando mi vedo le mani sporche
che io mi ricordo di quando
ero ragazzo
L’aria
L’aria l’e cla roba lizira
che sta dalonda la tu testa
e la dventa piò céra quand che t’roid
L’aria è quella cosa leggera,
che sta intorno alla tua testa
e diventa più chiara quando ridi.
I Bu (I Buoi)
Andé a di acsè mi bu ch’i vaga véa,
che quèl chi à fat i à fatt,
che adèss u s’èra préima se tratour.
E’ pianz e’ còr ma tòtt, ènca mu mè,
avdai ch’i à lavurè dal mièri d’ann
e adèss i à d’andè véa a tèsta basa
dri ma la còrda lònga de’ mazèll.
Ditelo ai miei buoi che l’è finita
che il loro lavoro non ci serve più
che oggi si fa prima col trattore.
E poi commoviamoci pure
a pensare alla fatica che hanno fatto per mille anni
mentre eccoli lì che se ne vanno a testa bassa
dietro la corda lunga del macello.
La farfalla
Contento, proprio contento
sono stato molte volte nella vita
ma più di tutte quando
mi hanno liberato in Germania
che mi sono messo a guardare una farfalla
senza la voglia di mangiarla.