Essere stata ristretta in carcere rende una persona “esperta” dell’ambiente carcerario? A ragionare con buon senso la risposta sembrerebbe affermativa. Ma, da qui a ricevere una nomina ministeriale in un gruppo chiamato a raccogliere materiale utile a migliorare le patrie galere, ce ne passa. E’ successo ad Adriano Sofri (condannato a 22 anni, quale mandante dell’assassinio del commissario della polizia Calabresi, di cui 9 effettivamente scontati) il quale, prevedendo montanti polemiche, ha fatto bene a rinunciare. Stupisce l’ingenuità di un ministro, Orlando, che per quanto giovane, aveva finora mostrato di essere scafato e di sapersi ben destreggiare nelle infide acque della giustizia italiana.
In una indagine a così ampio raggio raccogliere il punto di vista dei detenuti ( in corpore vili, si direbbe), è cosa buona e giusta. Ma, competente per competente, perché proprio Adriano Sofri? Il fatto che sia un intellettuale apprezzato dalla sinistra dello schieramento politico, scrittore ed editorialista, ne fa una persona più autorevole di altri in materia carceraria? Oppure hanno giocato affinità, vecchi legami di solidarietà, tacite concordanze su remote vicissitudini? Oppure, ancora, è stato un gesto simbolico quanto tardivo del ministro (quindi dell’Istituzione), di comprensione e vicinanza ad un uomo che si è sempre dichiarato innocente (in coscienza, come deve essere un mandante)?
L’interessato, con la sua tempestiva rinuncia, ha annusata la mala parata e si è sottratto ad ogni strumentalizzazione o polemica. In Italia non si perdonano gli intellettuali, specie se si intestardiscono a dichiararsi innocenti . Anche se qui da noi il più pulito ha la rogna, Sofri pare debba sempre riabilitarsi agli occhi dei più. Io, al riguardo di Sofri, non ho le idee chiare, e poi non ci vedo più nemmeno con gli occhiali.
Se non che, come editorialista del Foglio quotidiano, giornale in cui da sempre ha una rubrichetta voluta dal suo amico Giuliano Ferrara, Sofri ha voluto dire le sue ragioni, esponendole coi toni professorali che assume quando è attaccato.
Rivendicando la sua qualità di esperto in carceri Sofri sofistica fra esperienza tangibile e gradi di colpevolezza, e poi esemplifica in una sconcertante similitudine (se non è un paragone blasfemo poco ci manca) :“ Un ministero che avesse svolto una sua indagine sulla crocifissione avrebbe fatto bene a raccogliere il parere del crocifisso al centro, del ladrone di destra, e di quello di sinistra”
A parte la “sproporzione” (come posso dire diversamente?) del larvato confronto, e lasciando a Sofri la sconsideratezza di tale accostamento, su un punto sono d’accordo: il parere di “quello” di centro, innocente che muore per espiare il peccato di tutti, vale quanto quello degli altri a fianco, se pur ladroni. Se quel tal ministero avesse individuato come “esperto” solo l’uomo appeso al centro, avrebbe fatto male. Appunto!