THE IRISHMAN

28 Ott 2019 | 0 commenti

AL FESTIVAL DI ROMA L’ULTIMA FATICA CINEMATOGRAFICA DI MARTIN SCORSESE ALL’ALTEZZA DELLA SUA FAMA E CON UN CAST STELLARE- UNA SINTESI MIRABILE DELL’ AMBIENTE MAFIOSO NELLA SECONDA META’ DEL SECOLO SCORSO IN USA, FRA AFFARI E POLITICA- A CHI SONO PIACIUTI QUEI BRAVI RAGAZZI E C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA NON SE LO LASCI SFUGGIRE- SOLO IL 4, 5 e 6 NOVEMBRE NELLE SALE, POI NEXFLIX.

“E così è…” dice a un certo punto il boss Russ Bufalino, cioè Joe Pesci, al suo killer di fiducia, Frank Sheeran detto “Irishman”, cioè Robert De Niro. La stessa frase la possiamo dire anche noi alla fine di questo lunghissimo nuovo film di Martin Scorsese, The Irishman, l’unico che davvero aspettavamo di vedere alla Festa di Roma.  “E così è…”. Non so se è davvero un capolavoro come scrivono i critici inglesi e americani, ma certo è un piacere per lo spettatore più vecchio vedere queste oltre tre ore di puro cinema di Martin Scorsese, con una sceneggiatura perfetta di Steven Zaillan, il montaggio della mitica Thelma Schoonmaker, la musica di Robbie Robertson e un cast stellare: Robert De Niro, Joe Pesci e Al Pacino, … Ma ci sono anche Harvey Keitel, Stephen Graham, Bobby Cannavale e vecchi amici come Ray Romano, Dominick Lombardazzo.

Non sarà all’altezza dei suoi grandi titoli, ma certo il livello di scrittura e recitazione è altissimo. Basterebbero tre o quattro scene apparentemente insignificanti, come una discussione tra il Jimmy Hoffa di Al Pacino e il Provenzano di Stephen Graham su quanti minuti si può aspettare a un appuntamento prima di incazzarsi, dieci o quindici?, o un’altra in auto su come si tiene il pesce in macchina per non farlo puzzare, e già siamo nella leggenda. Stiamo vedendo un film di Scorsese, no? Ora. E’ vero che i tre protagonisti sono tutti anziani e poco agili, e quando devono fare i giovani l’effetto di re-aging digitale ci lascia un po’ interdetti e non può certo nascondere i movimenti lenti di De Niro e soci.

Ma ci bastano gli sguardi di De Niro quando cerca di mediare tra i suoi boss per non far esplodere l’inferno per scordarci di questi effetti digitali inutili. E più che nostalgia per il cinema mi sembra che ci sia una sorta di addio a quel grande cinema di gangster che Scorsese, de Niro, Pacino e Pesci ci hanno regalato.

In fondo, quasi tutto il film è un po’ costruito sul rimanere a raccontare una storia di gangster, cioè a fare cinema o a ricordare di quando si faceva il cinema, quando non c’è più nessuno di chi lo ha veramente vissuto a sentirti, a discuterne. Inoltre Frank, l’Irlandese, è una tomba. Non parlerà. E allora che senso ha?, gli chiedono due giovani poliziotti. Amici e nemici sono tutti morti. Ma Frank ha una parola sola. Se non la rispettasse tutta la sua vita non avrebbe più alcun senso. Per tutto il film lo abbiamo visto “pitturare le case/paint houses”, cioè colorarle di sangue delle sue esecuzioni, ubbidire agli ordini dei boss della mafia di Philadelphia, e cercare di rimanere fedele a un suo codice morale.

Che verrà messo a dura prova quando si troverà diviso tra l’ubbidienza al suo boss, Russ Bufalino-Joe Pesci, e all’amicizia che lo lega a Jimmy Hoffa, cioè Al Pacino. Tratto dal romanzo del 2003 di Charles Brandt, “I heard you paint houses”, The Irishman è un grande affresco, tra Good Fellas e C’era una volta in America, della malavita americana tra gli anni ’50 e gli anni ’70. Una malavita così potente che può fare eleggere presidenti, i voti della mafia andarono a John Kennedy, è la tesi del film, in cambio dell’aiuto a riprendersi Cuba e i suoi locali, magari anche ucciderli, controllare i sindacati, come quello dei Teamers, il potente sindacato dei camionisti comandato da Jimmy Hoffa.

 Scorsese spazia nel tempo andando continuamente avanti e indietro. Un lungo piano sequenza ci porta dentro un ospizio dove si trova un vecchissimo e malato Frank Sheeran. E’ Frank che ricorda un viaggio in auto da Philadelfia a Detroit assieme al suo boss, Russ, e alle loro mogli. Un viaggio che non è solo di piacere, devono andare a un matrimonio, ma nasconde dei lavori da portare a termine. Ma anche un viaggio che ci riporta indietro nel tempo, in altri anni e chiarisce, allo spettatore, la strada verso il crimine di Frank, già eroe di guerra in Italia, poi camionista, poi killer professionista. Frank non ha mai un cedimento, mentre la sua famiglia, soprattutto la figlia Polly, incomincia a vederlo con terrore.

L’incontro con Hoffa, Frank è l’uomo che la mafia gli mette come protezione, sembra aprirlo a una vera amicizia, ma Hoffa non si piegherà a tutti gli ordini degli amici degli amici. Inutile dire quanto siano ancora meravigliosi De Niro, Pacino e Pesci, quanto Scorsese ancora si diverta a costruire sequenze di grande tensione con continue invenzioni di messa in scena. Non è più il tempo di Good Fellas, non ci piacciono gli effetti digitali, può anche non piacerci Netflix e la sua politica cinematografica, potete trovare invecchiato De Niro, ma l’unica cosa che si può dire di questa meraviglia è solo “E così è…”.  In sala in Italia per soli tre giorni, 4, 5 e 6 novembre e poi su Netflix dal 27 novembre.

Articolo di Marco Giusti per Dagospia

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