Philip Roth, nel suo Lamento di Portnoy, ricorda tre donne memorabili: Mariella Curie, Anna Karenina e Amelia Earhart. Un tris assai poco assortito, ma di donne vere.
Di Amelia Earhart non sapevo nulla, se non che è stata una avventurosa pilota, misteriosamente scomparsa alla guida del suo aereo. Lo sapevo per averlo letto in un articolo solo pochi giorni prima, curiosa coincidenza!
Mi è bastato ciò per entrare subito in wikipedia, dove puntualmente è comparsa la pagine a lei dedicata.
Nata nel centro degli USA, in quel Kansas dove pionieri avventurosi vanno a caccia di bisonti, sul finire del 1800, Amelia scompare nel Pacifico nel 1937. Sono gli anni ardimentosi in cui l’aeronautica scopre di potere superare ogni limite. Amelia è una protagonista, una delle poche donne aviatrici dell’epoca. Ben presto diviene famosa col nomignolo di Lady Lindy, si cimenta in attraversate che fanno epoca ma, soprattutto, in vertiginosi voli di altura, supera il muro dei 5 mila metri, con un biplano e senza ossigeno. Scompare il 2 luglio del 1937 nel Pacifico, dopo concitati allarmi, probabilmente per mancanza di carburante. Doveva essere l’ennesimo record, finì dispersa in mare, le ricerche si protrassero senza esiti per oltre 15 giorni, mentre l’opinione pubblica americana tratteneva il fiato commossa.
Da allora Amelia entra nel mito: libri, films, canzoni, un museo nella cittadina natale di Atchinson, pavesata con le bandiere dell’orgoglio americano. Il mito si autoalimenta fino ai nostri giorni: con la scoperta di resti d’ossa a lei attribuiti in un’isoletta del Pacifico; l’apparizione di una misteriosa Irene Craigmile Bolam, rediviva e sedicente Amelia; testimonianze giurate di soldati giapponesi e decorati di guerra americani che giurano di averla vista ancora in vita anni dopo, ecc.
Non poteva mancare un sito a lei dedicato: vi appare in numerose foto, scattate in diverse epoche. Alta, un ciuffo di capelli ribelli, la bocca ben disegnata, gli occhi grandi e distanti. Ti immagini la grazia flessuosa di una antilope, ti colpisce il sorriso un poco spavaldo e, nell’insieme, la scorza da maschiaccia, come si conviene ad un’avventuriera. Una, insomma, che scorda il rimmel, ma non il rancio di caserma.