“Da noi in Russia gli ubriaconi sono le persone migliori. E i migliori da noi sono i più grandi ubriaconi.”
In vino veritas, esiste dunque un legame fra verità e grandezza? Solo attraverso la verità si raggiunge la vera grandezza? Ma esiste la Verità? Tuttalpiù la nostra verità, oppure solo la più riduttiva franchezza, cioè l’onesta trasposizione del nostro animo, dei nostri pensieri che il vino agevola, come il vento favorisce l’abbrivio di una barca?
Ma la dimensione dell’ubriaco è pur sempre quella di un mondo di mezzo, che solo interferisce con la realtà, ma se ne distingue. Una parentesi, una porta che si apre in un modo sospeso. Che inevitabilmente soccombe alla realtà. Quindi le persone migliori lo sono in potenza d’atto, più nei propositi che nelle opere, più nella volontà di liberarsi dall’impulso egoistico, che non nella ridente dimensione dell’altruismo disinteressato.
Attenzione, non basta essere ubriaconi, bisogna essere grandi ubriaconi per essere i migliori. In media veritas, in questo caso non vale, quasi si volesse dire che confessare il proprio animo, specchiarsi nella realtà, è impresa di pochi che richiede una grande forza di volontà, che non ammette indulgenze o sotterfugi. Altrimenti si piomba in una semplice e banale sbronza che farà grande solo il vignaiolo.
“La stupidità è concisa e senza furbizia, mentre l’intelligenza nicchia e si rimpiatta”
La dimensione naturaliter contrapposta a quella gesuitica; il buon selvaggio, il villico, lo zappatore opposti all’occhiuto maneggione, al freddo ragioniere d’anime, all’ azzeccagarbugli, al trombone politico.
Ma questo non è un elogio alla stupidità, ma a quelli che sembrano attributi che l’accompagnano: il vivere conciso e diretto, franco e sgombro dai pregiudizi, quest’ultimi inevitabile corollario delle idee quando si trasformano in apparati barocchi, in ideologie immobilizzanti. Più che meriti della stupidità parliamo dunque dei demeriti dell’intelligenza, quando anziché illuminare le menti, le ottenebra.
Se lo stupido è il poco intelligente, l’intelligenza usata male(si rimpiatta e si camuffa, dissimula nell’ambiguità e nel relativismo), degrada allo stesso livello e si fa stupida anch’essa, e ambedue non mettono in grado l’uomo di ragionare e di capire.
“… ma non avevi Tu pensato che, se lo si fosse oppresso con un così terribile fardello come la libertà di scelta, egli avrebbe finito per respingere e contestare perfino la Tua immagine e la Tua verità?”
Nelle pagine intitolate il Grande Inquisitore D. affronta il tema del libero arbitrio e della presenza del male nel mondo. Sono pagine filosofico-religiose assai complesse, a volte confuse, in cui, partendo della assurdità del male nelle persone innocenti, come i bambini, se ne deduce l’assurdità di tutta la realtà storica. La visione religiosa del libro, come è stato unanimemente osservato, è contraddittoria, non dà soluzioni, espone tesi senza parteggiare. Le due righe che ho riprese sembrano giustificare l’ateismo dei nichilisti; in realtà confermano come la negazione di Dio per D. non sia altro che la sua riaffermazione nella parabola esistenziale umana.
La lezione ultima in D., è quella che non mette in discussione l’esistenza di Dio in quanto essere onnipotente, al di sopra del bene e del male (anche quello indipendente dalla malvagità umana), ma Dio in quanto padre e misericordioso.