Serata al Regio con Paolo Conte. Lo affianca, quasi sorregge, una ensemble strepitosa, di veri virtuosi ed eclettici musicisti. Su palco almeno 12 elementi: piano, tre chitarre, violino, batteria, vibrafono, due fax, fisarmonica, clarinetto. Un volume di suono travolgente, come i ritmi che produce, a volte persino eccessivi.Conte esce dalla penombra del palco, fronte coperta dalla mano sinistra, come a volersi proteggere dalla luce o dallo scrosciante applauso che lo saluta. Sembra traballare sulle gambe, si appoggia al pianoforte, risponde con una smorfia e impercettibili scuotimenti del capo. Il viso scavato sembra addirittura prosciugato, i gesti delle lunga braccia sono meccanici, compulsivi. Mi viene in mente Edith Piaf, il suo ultimo concerto, il suo offrirsi al pubblico già fra gli spasimi della morte.
Conte poi attacca, la milonga sensuale, il naso di Bartali lungo come una salita, le topolino amaranto, Genova lontana, una giornata al mare, le stelle del jazz…. le fisarmoniche di Stradella….Così eravamo noi.. così eravamo noi… Un autentico groppo alla gola. Un tuffo nel passato, un brivido di emozioni che percorre la platea. La sua voce è ancora più rauca, fievole, si appoggia sulle note, perdendosi in suoni, in suggestioni sonore più che in parole, ricamando fra un za-za-ra-zzar è una ubriacatura di jive. Sa che il pubblico le conosce a memoria e le completa dove lui le tralascia o farfuglia du-du-du-da. Ad un certo punto, sul finale del concerto improvvisa, con un guizzo si butta quasi sul pianoforte, tamburella sul legno, accompagna con le dita ossute le note che smorzano, mentre le luci si spengono.
“Sei un genio” urla uno dalla platea affascinata, lui abbozza un sorriso schivo.
Riemerge dalle quinte richiamato dagli applausi insistenti, ma è come un’ombra fugace, che ondeggia nel diradarsi delle tenebre, in cui sparisce come sparisce nella mente l’immagine di un lontano ricordo…. Ci vediamo al Mocambo!