L’autunno preannuncia novità politiche. La carica di novità legata a Renzi sembra che si sia già esaurita. Peccato. Senza sottacere tutti i limiti del premier, dobbiamo dire che il demerito non appare suo, dal momento che il PD che Renzi si trova a dirigere, con una opposizione interna inconcludente quanto velleitaria, sarebbe una palla ai piedi di chiunque. In periferia, nelle regioni, dalla Sicilia alla Liguria, nella Capitale col serafico Marino, gli amministratori democratici non stanno dando buona prova. Il ciclo economico migliora troppo lentamente e il contrasto fra aspettative e risultati è stato reso ancora più stridente dalle troppe promesse del giovane primo ministro. Renzi sembra stretto, insomma, fra le miserie del partitismo moribondo, ma pervicace, e le troppe pastoie che limitano l’azione del governo, nel Parlamento italiano e nei confronti dell’Europa, presso cui la dottrina del rigore non è stata scalfita. Eppure il sistema, impercettibilmente, si muove. Non tanto sul versante destro, in cui non resta che assistere al sopirsi delle ultime velleità berlusconiane; in quanto a Salvini, pur favorito dalle paure suscitate dalla biblica ondata migratoria, egli non sembra in grado di sfondare nel Sud del paese, e quindi non potrà che rientrare nel centro destra, stretto in una qualche alleanza tattica, a macchia i leopardo, pagina già vista e priva di appeal per gli elettori. Non è un caso che F.I. abbia cambiato idea sul premio di maggioranza, che ora vorrebbe alla coalizione e non più al singolo partito.
A sinistra si è detto. Renzi non sembra avere forza e visione strategica per lanciare un nuovo progetto politico interamente suo. Lo sbandierato partito della nazione sembra per il momento relegato nel mondo dei sogni. Nel frattempo, la dura realtà dei numeri e il malmostoso assetto delle coalizioni, espongono il premier al rischio di intoppare sulle riforme e andare, Mattarella permettendo, dritti alle elezioni anticipate, nel periodo peggiore per lui, così com’è in mezzo al guado.
La novità potrebbe, invece, venire dal Movimento 5 Stelle, che sembra avere superato lo spaesamento iniziale, dovuto al successo vistoso e inaspettato nelle elezioni politiche del 2013. Uno dopo l’altra, le parole d’ordine e i mantra del Movimento (uno vale uno, i candidati li sceglie la Rete, i programmi si fanno on-line, non serve l’organizzazione, c’è già la Rete, ecc.) stanno cadendo. Accanto ai due leader fondatori Grillo e Casaleggio sono emersi nell’agone politico, alcuni parlamentari e amministratori seri e discretamente preparati, sui quali è possibili fare affidamento. Basta toni apocalittici, proposte strampalate, voglia di dipingere scenari confusi e perciò inquietanti. All’isolamento dei puri e duri è subentrato il buon senso del confronto, dal momento che la dialettica politica e parlamentare non è crusca del diavolo, ma l’essenza stessa della democrazia e l’unico metodo per governare.
Questo profilo più moderato del M5S, fatto di meno invettive o slogan e più di proposte, piace sia a destra che a sinistra, parla alla maggioranza non schierata del Paese, convince gli scettici che forse un ricambio di uomini e quindi di modo di governare è possibile. Resta il dubbio che, magari, l’imprevedibile Grillo ci possa ripensare, quasi dovesse cambiare il copione di un suo spettacolo che non funziona.
Questo, sulla carta, dovrebbe invece funzionare, non resta che provarci. Ma come in ogni buon spettacolo occorre un mattatore. Grillo non può esserlo, se non altro perché “è divisivo”, mentre si governa sempre in coalizione, anche quando gli alleati portano numeri superflui (la vecchia DC insegna qualcosa? E la Merckel, che in Germania, nonostante il 49,36% del CDU/CSU, ha messo in piedi la terza grossa coalizione del dopoguerra?). Il vero problema per il M5S, sfondi o meno alle prossime elezioni, sarà appunto quello di trovare rapidamente l’uomo che abbia il profilo giusto: preparato, deciso, onesto va da sé, e dotato del particolare carisma del capo benvoluto, cui ci si affida con fiducia e speranza. Una parola…..!!