VOGLIO DESIDERARE E NON TEMERE IL MONDO E IL MIO FUTURO- VIANDANZA, IL NUOVO LIBRO DI LUIGI NACCI, CI ACCOMPAGNA NEL VIAGGIO LUNGO LE ANTICHE VIE DEI PELLEGRINI DELLA FEDE, MA SOPRATTUTTO DENTRO NOI STESSI.
Luigi Nacci, Lei è autore del libro Viandanza. Il cammino come educazione sentimentale edito da Laterza, nel quale ci accompagna in un viaggio emozionante lungo due percorsi frequentati da secoli dai pellegrini d’Europa: il cammino di Santiago e la Via Francigena. Da cosa nasce l’interesse crescente per quelle vie? Perché oggi si percorrono?
Prendo spunto dal titolo di un libro di Miguel Benasayag e Gérard Schmit, L’epoca delle passioni tristi. Nel frontespizio della mia copia avevo appuntato al termine della lettura alcune frasi: voglio poter desiderare il mio futuro; voglio poter desiderare il mondo e insegnare a desiderarlo; non voglio temere né il mondo né il futuro. Credo che il rinnovato interesse per i due maggiori itinerari storici europei abbia a che fare con quelle riflessioni. Abbiamo bisogno di uscire dal materialismo e dal consumismo che riempiono i nostri spazi e le nostre giornate, mettere i piedi in vie lungo le quali altri milioni prima di noi hanno camminato, farlo con pochi oggetti, con poche sicurezze e molte domande, essere diretti verso una meta riconoscibile, sperare di arrivarci, avere la sensazione di essere parte di un progetto, non avere paura di svegliarci e andare per il mondo, fare e vedere qualcosa di nuovo ogni mattina, andare a riposare senza frustrazioni, soprattutto immaginare moltissimo ad occhi aperti. Sono vie che ci parlano dai tempi passati e dal futuro, e sono pienamente europee. Percorrendole si comprendono le ragioni che potrebbero unirci anziché dividerci.
” I viandanti vanno in cerca di ospitalità/Nei villaggi assolati/E nei bassifondi dell’immensità/E si addormentano sopra i guanciali della terra/Forestiero che cerchi/ La Dimensione insondabile” Franco Battiato, I Nomadi
Attraverso quali magnifici paesaggi si snodano i due percorsi?
I paesaggi esteriori sono variegati e in qualche modo speculari. Alpi e Pirenei, altipiani delle mesetas e pianura padana, colline toscane e galleghe. La differenza sta nel grado di antropizzazione, molto più alto in Italia che in Spagna. Ma più stravolgente è lo scenario interiore. Il cammino ci insegna che non ha importanza essere nelle crete senesi o nella periferia industriale di Burgos. Anche attraversare a piedi una discarica può essere un gesto rivoluzionario per noi stessi se non ci limitiamo alle sollecitazioni del corpo. Se ho scritto questo libro – e il precedente, Alzati e cammina – è per analizzare i movimenti interni, non le questioni fisiche. I manuali che consigliano l’attrezzatura o gli allenamenti sono utili ma non bastevoli: come tentare di aggiustare ciò che si è rotto da qualche parte dentro di me? Come rispondere alle domande che la strada mi ha posto? Come essere all’altezza dei propri sogni? Domande su domande, più numerose delle salite. Domande come sassi che occupano i nostri paesaggi interiori. Pietraie. Fa più male trovarsi lì che tra i rifiuti di un agglomerato suburbano degradato.
La Via Francigena e la strada per Santiago sono adatte a tutti?
Per tutti, nessuno escluso. Il cammino è di tutti o non è di nessuno. Il grande Edmond Jabès, in un’opera che ogni viandante dovrebbe portare con sé, Il libro dell’ospitalità, scrive: «Non chiedere la strada a chi la conosce, ma a chi, come te, la cerca». Questo è il punto. Avviarsi come diceva Walt Whitman per la strada aperta a piedi e con il cuore leggero. Per andare a cuore leggero e per cercare i cercatori non serve essere degli atleti. Ho conosciuto viandanti fantastici senza una o due gambe, in carrozzella, con le stampelle, con i bypass, obesi, malati gravi, malati terminali. Non posso scordare la loro caparbietà e i loro sorrisi. La strada è la chiave della democrazia, della lotta, della libertà, della trasformazione, della solidarietà, della gioia, della fatica che si fa pane. Tutti hanno il diritto di provarci, ciascuno secondo le proprie possibilità, e non solo per andare a Santiago de Compostela o a Roma. Ciò che cerco di rendere evidente nel libro è la forza di un’esperienza che può avere luogo ovunque e alla quale chiunque può partecipare.
Quale lezioni di vita possono offrire le due esperienze?
Ripeto, non importa andare a Roma o a Santiago. Ma se si è intenzionati a farlo consiglio di andarci la prima volta in estate, quando c’è la massa. Sembrerà un paradosso, ma è in mezzo alla calca, nei rifugi e nei sentieri affollati, nella mancanza di silenzio che si impara forse ancora di più. La convivenza, la tolleranza, la pazienza, il riuscire a concentrarsi nel frastuono, la ricerca della propria via nella confusione delle tracce altrui. Oggi si dice che il Camino de Santiago sia una moda. Bene, andate a vedere con i vostri occhi. In agosto, quando potete incontrare mille pellegrini al giorno in una tappa. Provate a centrarvi, sforzatevi di non lamentarvi, poi chiedetevi come possa esistere una moda di mille anni. Deve necessariamente esserci altro. Andate a capire che cos’è.
Lei è stato il fondatore del Festival della Viandanza: in una società come la nostra, perché è importante riscoprire la viandanza?
La viandanza è più del cammino. C’è l’andare, il fermarsi, il partire, il ritornare a una casa che non è più la casa che abbiamo lasciato, l’incontro con l’ignoto, il ripensamento del domestico, il nostro lato nomade che torna ad affrontare quello stanziale. È una vita diversa, in cui ciò che abbiamo accumulato non conta, né possono avere posto il potere, la sopraffazione dell’altro, la competizione. L’immenso Henry David Thoreau nei suoi scritti ci spinge a svegliarci, a badare all’essenziale, a non aspettare di avere una visione chiara per intraprendere una vita migliore. Di pensatori come lui abbiamo bisogno per metterci sulla strada della viandanza. Andare verso l’utopia con poche parole, ma il più possibile esatte. Viandanza è una parola bellissima.