IL SAPORE DI UN RIFIUTO, LA TENEREZZA SENZA NOME, LA PAURA DELL’ABBANDONO, IN CUI CI SCOPRIAMO DEBOLI E INDIFESI- L’ALTALENA DELLA VITA NELLE POESIE DI VILYA
stracci, ancora stracci
dolore, paura
guerra, ancora guerra
ma fra i riccioli mori di un bimbo abbandonato,
in quei suoi grandi occhioni scuri
brilla ancora
il sogno di un bimbo senza nome.
cos’è questa forza incontestabile che muove le labbra,
che spoglia e lascia nudi.
ho sentito che la chiamano sorriso.
avevo una maschera,
era un viso di cartapesta,
sorrideva, sembrava vera.
così andavo in giro.
la maschera è caduta,
è rimasto soltanto
un viso consumato dal pianto.
discorsi rifatti di belle parole
promesse che incantano
“ma quanto sei disposto a rischiare?
sei disposto a giocare tutto te stesso?”
avvolge tutto,
nasconde la verità,
incontrastabile a mani nude,
il buio
la patria dei sognatori.
perché in questa società
se tutti fossero su delle macchine
e tutti iniziassero a schiantarsi contro dei muri
ci vorrebbe coraggio anche
a tirare il freno.
come una falce di luna
così sola
così imperfetta
in un cielo senza stelle di dicembre.
alcune persone sono come il sole,
bisognose di farsi notare, creano momenti speciali
e allora sono ammirate per quei minuti,
poi tornano “normali”e vengono dimenticate.
altre sono come la luna, silenziose,
agiscono quanto le persone che hanno altro da fare
eppure sono ammirate costantemente nella loro semplicità.
mi perdo
in questo cielo di fiori di pesco
quanti meravigliosi attimi
ci regala la vita
come un treno notturno
come un’ombra
vivi silenziosa
celata dal buio
incontaminata
al crepuscolo
le anime si perdono
incatenate
in quel frammento
che non è giorno
e non è notte
la solitudine
abbraccia la mente
accompagnandola forzatamente
in un abisso nero di pazzia
la mancanza di amore
di un’altalena
ferma da anni
vorremmo essere liberi
di guardare il mondo
come da una
ruota panoramica
la pace sarà sempre
seguita dalla guerra
per superarla basterà
ricordare la pace passata
e aspirare a quella futura
la mente umana
è inizialmente forte come
i tiranti del ponte di Brooklyn
ma può diventar debole come
una foglia nella bora di Trieste
se la solitudine l’abbraccia
accompagnandola forzatamente
in un abisso nero di pazzia
le chiome cantano
i tronchi si tramutano in fontane
milioni di folletti danzano sulle foglie
l’energia vaga libera tra i fusti
quel fragile equilibrio
appoggiato su un mignolo
che fa la differenza
nella personale esistenza
sto ballando
su una linea di gesso
chissà se cadrò
dalla parte che più desidero
oggi Firenze
sa di lacrime e rose
sarà il sapore di un rifiuto
al Piazzale Michelangiolo
la realtà è come
la facciata di un lago
basta una sola goccia
per distorgerla
momenti frenetici
come dopo aver saltato
nella nebbia
consapevoli di non poter tornare indietro
inconsapevoli di cosa si sta per incontrare
esisti
diversa
fuori dal normale
come una rosa bianca
in inverno
L’amore si prova
per inerzia l’amore si prova
per paura di non essere amati
L’amore si prova
per paura di amare
oggi San Marco è bella
risplende di calma
e tu
ragazza con la testa incasinata
non l’hai nemmeno notato
c’è una luna
perfettamente stupenda
che si appresta a morire
felice
dopo il suo momento di gloria
chissà se smetterò mai di stupirmi
oh luna
nel vederti perfetta
in un roseo cielo
di prima mattina
queste nuvole rosee
questa luna così (precisa di confine)
questo rumore assente
questo paesaggio è un dipinto
senza cornice
si libra leggera
nell’aria
quante volte
le lacrime
hanno dovuto lavare
quei suoi occhi
per essere così puri
Biografia: Vilya è una poetessa, poco più che adolescente. La sua poesia nasce,come lei stessa scrive, perché “La fantasia è sempre stato il mio posto sicuro, l’unico posto in cui potevo fare ciò che volevo senza preoccuparmi di niente; ci sono i bambini che prima di addormentarsi pensano al loro cartone animato preferito, alla strabiliante vittoria dei buoni contro quel SuperCattivo sempre pentito, mentre io passavo le ore a immaginarmi in tutte le possibile vesti che la mia mente poteva creare. Poi ho iniziato a scrivere, a mettere su carta ciò che immaginavo. I miei genitori, la mia maestra delle elementari, i miei parenti e tutte le persone che avevo intorno mi hanno sempre incoraggiato e supportato nel mio percorso di scrittura, e mi rendo conto di aver percorso una strada dolce e agevole. Così, quando da bambina iniziai a voler capire e definire l’emozioni che provavo, mi venne naturale di scrivere sotto forma di poesie o piccoli testi tutto ciò che volevo capire, come se, scrivendolo su carta, potessi tirarlo fuori dal mio corpo e osservarlo dall’esterno.“