LA PITTURA INCOMBENTE DI ROTHKO E L’ACTION PAINTIG DI POLLOCK ALFA E OMEGA DELL’IMPRESSIONISMO ASTRATTO MADE IN USA- UNA OPERAZIONE VINTAGE NELLA ROYAL ACADEMY DI LONDRA CERCA UN COMUNE DENOMINATORE FRA ARTISTI ANTEGUERRA DALLE PERSONALITA’ SPESSO DIVERGENTI.
Mostra strepitosa, intensa e radicale, questa. Curata da David Anfam e Edith Devaney in collaborazione con il Guggheneim Museum di Bilbao, ci conduce all’interno della vibrante e drammatica atmosfera artistica degli USA, all’inizio del secondo dopoguerra. In un percorso che rende visibile e comprensibile come l’arte americana sia diventata “maggiorenne”, in grado di dialogare alla pari con le altre avanguardie europee. E anche grazie a quante fatiche creative e sofferenze umane, tutto ciò sia potuto accadere.
Un’ epoca dove l’arte visiva sapeva esprimersi con emozione ed esuberanza (o almeno quella che trasuda da un paese, magari ingenuo ma di certo giovane e dinamico). Davanti alle opere si provano sensazioni profonde ed inconsce che non lasciano spazio alla riflessione e soprattutto ai cerebralismi dell’arte concettuale. Un modo di esprimersi che si accorda perfettamente (nel bene e soprattutto nel male, ovviamente) con il sentire della politica, della società e della comunicazione dei nostri tempi: sensazioni viscerali prima e (poca) razionalità dopo.
Opere potenti di sessanta/settanta anni fa e che, paradossalmente, si trasformano in chiavi di lettura per meglio comprendere ciò che succede oggi. Inevitabile, in chi guarda, anche tanta nostalgia per un passato magari difficile ma sicuramente grondante di un certo ottimismo e freschezza. Tutto questo tra l’altro a dispetto della biografia di molti di questi artisti, costellata da morti tragiche. Inquietante comunque il fatto di rapportare il nostro presente e le sue contraddizioni non tanto a ricerche artistiche contemporanee ma, per l’ennesima volta, al vintage (seppure di grandissima qualità).
Il termine “Espressionismo Astratto”, usato per la prima volta nel 1949 dal critico Robert Coates, più che un gruppo o un movimento con precisi obiettivi artistici, rappresenta una tendenza. La squadra degli artisti è varia e numerosa anche se un po’ machista e misogina (oggi si direbbe “sessista”); di fatto le uniche donne realmente riconosciute del gruppo sono infatti la bravissima Lee Krasner paziente moglie di Jackson Pollock e l’ineffabile Helen Frankentaler.
I due fuoriclasse, senz’altro Mark Rothko e Jackson Pollock. Non solo i più celebrati e famosi di questa avventura americana ma anche quelli che meglio incarnano le due polarità fondamentali che vi convivono. Movimento e l’azione da una parte (Pollock, sostenuto dal potente critico d’arte newyorkese Clement Greenberg è il campione dell’action painting) e grandi campiture di colore fermo e spaventosamente immobile dall’altra (la pittura quasi teologica di Rothko, ugualmente promossa da Greenberg, formulata in termini di vuoti e pieni di colore, incombenti e sospesi).
Sorprendenti alcune loro opere giovanili che mostrano come entrambi siano partiti da una figurazione più o meno tradizionale, secca e nervosa, per poi approdare a strade diversissime. Il personaggio dietro le quinte che in un certo senso tiene a battesimo entrambi (ma certo la sua influenza è direttamente e decisamente visibile su Rothko) è l’artista Hans Hofman, che, fuggito dalla Germania negli anni trenta, da vita alla mitica scuola d’arte delle Black Mountains e porta agli artisti americani, fresche e di prima mano, le ricerche pittoriche europee.
Male and Female è un piccolo quadro del 1942 dove il Pollock che conosciamo e amiamo è ancora acerbo, lontano. Due opere di Rothko, rispettivamente del 1936 e del 1944, che non solo mostrano chiaramente la sua ispirazione surrealista ma sembrano addirittura imparentate con certi quadri italiani di Carrà e di Ottone Rosai. In questa sezione anche un suo notevole e commovente autoritratto, prestato alla mostra dal figlio Christopher.
Arshile Gorky, artista di origine armena, è comunque il vero pioniere dell’ Espressionismo Astratto a New York. Affascinato all’inizio dalle esperienze surrealiste europee, trova poi una sua strada “americana”. Scoperto da Harold Rosenberg, rappresenta lo snodo iniziale da cui in quegli anni partono l’action painting e il colour field, in una sorta di surplace tra le due tendenze. Muore suicida nel 1948, dopo una vita di stenti e delusioni, senza poter assaporare il meritato successo postumo al suo lavoro.
La grande sala dedicata a Jackson Pollock ci mostra cose rare e straordinarie tra cui spicca Blue Poles (1952), opera insuperabile e praticamente definitiva. Morirà poco dopo, ubriaco in un incidente automobilistico in un atto (forse) di inconscia autodistruzione celebrando così alla perfezione l’esistenza caotica, dura, sostanzialmente infelice, decisamente solitaria dell’americano medio.
Nella direzione dell’espressionismo gestuale, le tele violente e monocrome di Franz Kline, quelle esplosive e piene di colore dell’olandese Willem De Kooning oltre naturalmente alle opere di Lee Krasner. Poi Adolph Gottlieb, la cui influenza in quegli anni fu importante soprattutto a New York e Roberth Motherwell, il più politicizzato (personalmente coinvolto nella Guerra Civile Spagnola) con la sua gestualità polemica e disperata.
L’opera di Mark Rothko distribuita nel corso degli anni di attività ha il posto d’onore nella suntuosa rotonda centrale della Royal Academy (solitamente riservata alle opere di maggior rilievo). Nato in una famiglia ebraica di origine russa, dopo una vita costellata da eccessi di ogni tipo e crisi depressive, si taglia la gola con un rasoio a New York nel 1970. La sua implacabile e fragile irrequietezza è palpabile in ognuna delle sue grandi tele esposte. Un artista con un talento eccezionale e una speciale aura sacerdotale da “celebratore di misteri”.
Tra chi in quegli anni, come lui, sceglie una pittura di grandi masse colorate sicuramente Barnet Newman con le sue enormi tele monocrome di deriva minimalista ma soprattutto Clifford Still, un po’ la sorpresa di questa rassegna, con una splendida serie di opere davvero inedite sino ad ora in Europa. Insieme a Sam Francis egli rappresenta la cosiddetta West Coast dell’Espressionismo Astratto, che, sfatando il luogo comune che associava il movimento unicamente alla leggendaria “New York School”, ci dimostra come in realtà questa esperienza abbia in fondo coinvolto tutti gli Stati Uniti.
Una mostra, questa, che ci fa riflettere ugualmente sull’uso innovativo e determinante della superficie di grandi dimensioni nell’arte contemporanea. Tutto parte, infatti, parte proprio da quegli anni cinquanta in America, dove ogni cosa è più grande che in Europa: le case, le strade, le razioni alimentari e ovviamente anche gli studi degli artisti e le gallerie.
Prima di allora le tele, anche importanti, (forse con la sola eccezione del Guernica di Picasso) non superavano certe misure, per lo più banalmente legate alle dimensioni di porte e ambienti. La consacrazione di questi artisti americani conferì a tutta la geografia dell’arte una nuova dimensione. Da lì nacque un vero e proprio standard.
Le ricerche di Philip Guston e di Adolph Gottlied, ben illustrate dalla mostra, si situano in un terreno assai particolare con una propria individualità che ne rende difficile qualsiasi collocamento. Con le opere in metallo di David Smith, disseminate nelle varie sale, si può invece ammirare infine la scultura. Non sempre entusiasmante forse il suo lavoro, ma certo interessante. In mostra infine anche alcune curiosità fotografiche sugli artisti e un po’ di inedito backstage.
Che dire… se ne esce un po’ storditi, pensierosi, sinceramente emozionati.
PS Per sorpasso e il trionfo vero e proprio dell’arte americana bisogna naturalmente aspettare negli anni sessanta la Pop Art, ma qui siamo almeno ad una parità (assolutamente meritata).
LONDRA MOSTRA MAESTRI ESPRESSIONISMO ASTRATTO 24 Settembre – 2 Gennaio 2017
ROYAL ACADEMYPiccadilly, London W1J
Articolo di Antonio Riello per Dagospia