IL MEYER DI FIRENZE, LA FONDAZIONE GIOVANNI PAOLO II E L’ARCI TOSCANA INSIEME LA’ DOVE I BAMBINI MUOIONO O SOFFRONO, ANCHE GRAZIE ALLA SOLIDARIETA’ DEI CARCERATI DI VOLTERRA-UN PONTE IDEALE UNISCE VOLTERRA CON ALEPPO CONTRO L’INUTILITA’ DELLE GUERRE, PER LA CULTURA DELLA PACE
Forse i detenuti del carcere di Volterra quando hanno pensato di organizzare un pranzo di beneficenza in favore dei bimbi mutilati di Aleppo, in cuor loro devono averli sentiti singolarmente vicini. Forse hanno intravisto, leggendo le notizie di quella guerra lontana, il segno embrionale e confuso di un comune destino: quello di vivere entrambi prigionieri di barriere insuperabili. A Volterra la mura del carcere, ad Aleppo le orrende menomazioni della guerra, che sprofondano nella terra quello che resta di quei corpi mutilati. Segni e memorie di un unico sottosuolo dell’anima, nella quale, secondo Fedor Dostoevskij, non penetra nessuna luce e che non riusciamo a capire, prima ancora che governare. Ma questi uomini che fanno gli “onori di casa” in questa fortezza un po’ tetra tutto sono fuorché inattivi o rassegnati. Sembrano avere fatto pace con se stessi e con la società, di cui si sentono, nonostante tutto, parte ancora attiva. Il valore rieducativo della pena con loro sembra una realtà e non una utopia. Come forse i lettori sanno, già nel 2017 la Fondazione Meyer ha avviato un importante intervento umanitario ad Aleppo, assicurando assistenza medica e cure. Quest’anno, grazie alla collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II e Arci Toscana il progetto si consolida, intensificando l’aiuto per quei bambini che, a causa del conflitto e, in particolare, delle mine disseminate per colpire indistintamente militari e popolazione civile, hanno perso l’uso di gambe o braccia. Ventiquattro mila bambini in sei anni di guerra hanno perso la vita, le liste dei mutilati si allungano ogni giorno. In questi giorni di Festa che si vorrebbero sereni il pensiero corre verso chi già non aveva niente e oggi non ha nemmeno la vita. Vedetevi allora il video che trovate in fondo all’articolo. Il cuore si scioglie. Come a Volterra un’altra fortezza ha resistito alla distruzione: è la antica cittadella fortificata. Per il resto Aleppo è solo polvere e pietre, cumuli di macerie avvolte da un innaturale silenzio. Eppure, una madre che ha visto il figlio morire per mano di un cecchino, trova parole di dolorosa serenità: “se ci fosse stata pace nell’animo delle persone questa guerra non sarebbe mai scoppiata” Questa madre non vuole finire nel sottosuolo, vuole ostinatamente coltivare ancora la speranza. Così come è incredibilmente forte e ammirevole una giovane, sepolta una sera al rientro dal lavoro sotto le macerie di casa: “sono piena di sogni e mi aspetto molto dalla vita”. Sembrerebbe un errore di traduzione, se ci si limitasse a guardare il suo viso devastato, i denti persi, le cicatrici che rendono il suo sorriso penoso. Ecco un’altra che non vuole finire nel sottosuolo, nell’accidia e nella commiserazione. Forse non ha letto Dostoevskij, ma ne sa per esperienza più dello scrittore russo: la sofferenza è sempre irrazionale, è sempre meglio vagheggiare la felicità, anche se appare irraggiungibile. Sentire queste storie, vedere quei volti continuare a sorridere in mezzo alle macerie e alla morte, dà la misura della grandezza dell’animo umano, e della sua vocazione indomabile per la felicità e la bellezza. Non è un caso che i frati francescani, che sono voluti rimanere ad Aleppo, soccorrono i corpi ma non dimenticano di allietare l’anima con spettacoli, arte e cultura, un po’ come fanno i detenuti di Volterra con la loro Compagnia della Fortezza.
Articolo di Gianpaolo Donzelli, La Repubblica Firenze