Sono nella cave dell’Unione culturale in via Battisti a Torino per vedere lo spettacolo sulla vita di Zelda Fitzgerald, messo in scena dalla Piccola compagnia Magnolia. E’ un atto unico, un lungo monologo tratto dal carteggio fra Zelda e il marito Francis Scott, scrittore celebre per un solo libro: Tenera è la notte. Dieci euro è ti togli il dente, pochi i presenti, per lo più amici, ambiente disadorno e scena composta da un letto, sovrastato da una lampada di scena, che allude all’inesistenza di un baldacchino. Giorgia Cerruti affiora dalle lenzuola con la tragica compostezza di una morta. Presagio allegorico del letto psichiatrico in cui si lasciò bruciare Zelda, nel rogo forse da lei stessa appicciato. Giorgia ha mestiere, e un suo talento che consiste prevalentemente nella mancanza di ogni titubanza, mentre qualche smarrimento in più, qualche turbamento, tradotto in una dizione meno addolcita o smorfiosa, più dissonante avrebbero giovato a dare spessore. Invece la storia scorre restando in superficie, né si avverte il “nauseabondo odore di rose rosa” sparse coreograficamente sulla scena. Poi, una volta uscita l’attrice da sotto le coltri, si capisce perché la cosa non funziona. Laddove ti aspetti una emaciata ed estenuata figura di malata cronica, appare invece una donna florida, dalla bellissima pelle liscia e abbagliante, callipigia in volumi deliziosamente abbondanti. Giorgia manca del physique du rôle, purtroppo. “Come ti è venuta l’idea” – chiede alla fine uno spettatore. “Ti posso dire la verità: mentre stavo sul water” è la risposta. Espellere per esternare, dunque, o per compiutamente dire, operare una sintesi “ fra ricerca formale e densità emotiva, affidando alla figura emblematica di Zelda la metafora di una inesausta ricerca del sublime.” Boh! Ho il sospetto che sia proprio questa ricerca a rendere lo spettacolo un poco stucchevole. Non è detto che nella mente di una malata che amava viaggiare e bere, il lusso borghese e il jazz, debbano passare per forza idee profonde o intuizioni memorabili. Giorgia ha cercata in Zelda una cognizione del dolore che forse non poteva trovare perché non c’era e lei, pur volonterosa, non è stata capace di aggiungerla. Ma i miti, si sa, parlano più di noi stessi che di loro. Rimarranno, invece, i saluti di Gloria, ancora in camicia da notte, nel “foyer”: tende la mano, reclina la testa, spargendo intorno sorrisi abbaglianti e tanta, tanta leggera tristezza. Chapeau!
(In evidenza una foto che ritrae Zeld col marito Francis Scott Fitzgerald, autore di Tenera è la notte)